COMUNICARE LA CITTA’, I NUOVI MEDIA
di GAETANO LA PIRA
_
Puo’ apparire paradossale ma le recenti rivolte in Nord Africa possono suggerire alcuni spunti per una lezione di cittadinanza attiva. Sia per il ruolo da protagonista esercitato dalla popolazione urbana sia per l’importanza del web e della rete. Le rivolte non hanno avuto successo per la magia della rete ma per la partecipazione, l’intelligenza e la strategia che le hanno scandite ma difficilmente avrebbero avuto il successo che hanno avuto senza la rete e i cellulari. Tema non nuovo, da anni le aspettative legate alle democrazia elettronica, globale, diretta sono al centro di dibattiti e discussioni, ma senza grossi impatti. Un nuovo spiraglio lo aveva aperto Obama con la sua campagna elettorale tutta giocata sul web, ma il discorso si e’ di nuovo spostato a favore dei media tradizionali nei primi anni di presidenza
Il problema spostandoci sulle coste settentrionali del Mediterraneo è il ruolo dei media, e principalmente della televisione, come veicolo dio messaggi politici nei quali prevalgono unilateralità, semplificazione, l’anatema del nemico e l’appello alle emozioni e non alla ragione. Di qui il malessere di un sistema che non ha più comunità intermedie e di un assetto democratico che si regge sul processo elettorale ma azzera quei momenti, non meno essenziali, che consentivano una partecipazione diretta dei cittadini alla formazione delle opinioni politiche.
Le nuove tecnologie hanno permesso in Nord Africa il formarsi di quelle formazioni intermedie che hanno fatto da tessuto connettivo alla protesta e la diffusione tra la popolazione di una informazione non inquinata dal potere contro cui si manifestava. Anche la Tv ha giocato lo stesso ruolo, nonostante sia un media vecchio tipo, ma inciampi, errori clamorosi e sospetti di strumentalizzazione non sono mancati.
La lezione per noi che non abbiamo dittatori da abbattere è come ritrovare la strada, agli inizi del XXI secolo, per recuperare gli spazi e i modi della cittadinanza attiva, per un nuovo dialogo tra istituzioni e reti di cittadini, in cui esplorare i possibili benefici del web2.0 sulle politiche pubbliche e sul rapporto stato-cittadini. Non bisogna illudersi: non è un discorso semplice per i limiti legati alla diffusione ancora parziale della rete (nel paese in generale e nell’azione pubblica in particolare) e per le resistenze opposte dalle amministrazioni verso ogni tentativo di innovare e di rinnovarsi. Sarà probabilmente il salto generazionale ad accelerare il cambiamento ma sta a noi accelerare i tempi di questo cambiamento.
Il web2.0, vale a dire lo spiccato livello di interazione tra sito e utente (e tutti i suoi corollari, dai blog a Twitter passando per Facebook) è destinato a modificare il modello di interscambio tra cittadinanza e istituzioni e con esso il ruolo dei media e della comunicazione, riportando al centro la comunità. Che sia quella dei propri amici, locale, intermedia o cittadina poco importa.
Groupon, l’ultimo fenomeno statunitense in fatto di social media, secondo alcuni il nuovo Facebook, è l’ennesima e fortunata applicazione del modello community, solo che invece di mettere in contatto tra loro amici vicini e lontani fa dialogare chi compra e chi vende, proponendo a volte una settimana di relax in una spa, più spesso una cena al ristorante, un corso di lingua, una poltrona a teatro a prezzi scontatissimi. Il social shopping ha sempre più un ambito cittadino e Groupon è ormai presente in 100 città italiane e in 35 paesi. Tra questi l’Italia con il marchio Groupalia. Groupon ha alla base del proprio modello di business l’interattività, ma in questo caso la community è fonte di guadagno diretto (incassa la metà della cifra destinata al venditore) e questo dettaglio manca agli altri network. Per questo Google ha offerto lo scorso anno 6 miliardi di euro, sdegnosamente rifiutati.
Il social shopping ha conquistato il web ed è l’ultima espressione dei social media. Ma ha anche riscoperto e rilanciato il tradizionale ambito cittadino, I social media non investono le istituzioni, ma sul web si possono offrire prodotti o anche servizi, domanda e offerta si incrociano per due notti in albergo o per un servizio di assistenza agli anziani. Allargare il principio di community alle politiche pubbliche non è affatto complesso, anzi le politiche pubbliche sono un ottimo terreno per costituire comunità appartenenti ad una stessa categoria o residenti nello stesso territorio.
Due esempi realizzati in tempi ancora non sospetti.
Il ciclone Katrina a New Orleans nell’agosto 2005 trovò completamente impreparata l’amministrazione Bush che non fu in grado di intervenire con un’azione efficace di soccorso e si mise all’opera con giorni di ritardo. In quegli stessi giorni alcuni hackers ottengono l’uso di robusti server da parte di aziende informatiche, mobilitano tremila volontari e con il loro aiuto mettono in piedi in quattro giorni e a costo zero per il contribuente un database di notizie sui sopravvissuti all’uragano. Lo battezzarono Katrina.list. I problemi tecnici da superare non furono pochi, una agenzia governativa ci avrebbe messo nella migliore delle ipotesi svariate settimane e avrebbe speso milioni di dollari.
Nel marzo 2004 il ministro dell’Innovazione del governo italiano annuncia uno stanziamento di 45 milioni di euro per mettere online il portale Italia.it, nato “per promuovere l’offerta turistica via Internet e il patrimonio culturale e ambientale italiano”. La realizzazione viene affidata a Sviluppo Italia. Travolto dalle polemiche, perché per gli esperti i portali sono destinati a scomparire e 45 milioni una enormità, e ignorato dai navigatori con un budget nel frattempo ulteriormente lievitato, Italia.it viene chiuso quattro anni dopo.
La differenza tra il successo di Katrinalist e il fallimento di Italia.it (o comunque di quello che sarebbe stato un tardivo e dispendioso tentativo dell’amministrazione Usa) si spiega probabilmente con il livello di partecipazione della cittadinanza, la mobilitazione di quella che molti chiamano l’intelligenza collettiva, una sorta di anticamera alla formazione di nuove forme di intellettuali collettivi, che attraverso un continuo scambio di saperi e un processo ininterrotto di mediazione e di ridefinizione di valori, approdano a forme di “democrazia in tempo reale”.
Suggestioni probabilmente, ma è innegabile che oggi esistano gli spazi per la rinascita di una cittadinanza attiva in grado di esercitare un ruolo, che va ben al di là dell’appuntamento elettorale.
In Gran Bretagna è attivo dal 2008 un progetto chiamato Fixmystreet. Il principio è semplicissimo quando un cittadino si accorge di un problema (da una buca sull’asfalto al cassonetto rotto) lo segnala sul sito inserendo l’indirizzo. Da questo il sito risale all’autorità responsabile che manda una mail a chi deve occuparsene. Il risultato è stato superiore alle aspettative, numerosissime le segnalazioni che permettono un controllo a tappeto sul territorio (dal tombino al cartello “affittasi” da 4 anni) che difficilmente una amministrazione potrebbe mantenere. Nell’ultima settimana sul sito sono arrivate 1.640 segnalazioni. Esiste una app per i l’Iphone e altri cellulari e il modello è stato esportato in Nuova Zelanda lo scorso mese.
Impensabile in Italia che i cittadini fotografino con il cellulare una buca o un graffito e inviino al comune perché provveda. Altrettanto impensabile un comune che, ricevuta le segnalazione, intervenga in tempi rapidi. Si continua a insistere con le vecchie abitudini: andare direttamente a lamentarsi in Comune, come denuncia Cacciari con una certa vis polemica, ma forse cittadini e sindaco potrebbero impiegare meglio il loro tempo.
La rivoluzione della rete non ha disgregato le grandi aree urbane, come avevano previsto molti, ma sta contribuendo ad una loro trasformazione attraverso l’interagire tra scambi di contenuti digitali e sviluppo delle relazioni fisiche. Luogo e network sono destinati a convivere. E sono destinati a mutare le forme di intervento delle autorità pubbliche e il loro modo di comunicare.
Comunicazione e governante dovranno riorganizzarsi per obiettivi, communities e interfacce. Una parte importante del lavoro dei funzionari pubblici e di chi si occupa di comunicazione consisterà nel gestire le comunità, stimolarle, negoziare e via dicendo. Il concetto di comunicazione e di intervento pubblico è destinato a subire un profonda ristrutturazione. Il nuovo mondo non è poi così lontano se riesce comunque a concretizzarsi in alcune sue modalità al di là dell’Atlantico e di recente anche al di là del Mediterraneo. Da noi bisognerà aspettare, la rete non è ancora così diffusa, dentro e fuori casa. Anche perché nel 2005 fu approvato il decreto Pisanu che imponeva a chiunque fornisse connettività a Internet di identificare ciascun utente.
Venne introdotto sulla spinta emotiva degli attentati di Londra e ha probabilmente permesso in questi anni una maggior sicurezza, ma ha anche pesantemente frenato la diffusione di reti wireless e di aree wi-fi in un paese che ne avrebbe bisogno. Ha bloccato per anni modelli di business che si basano sulla disponibilità di connettività ad accesso libero e gratuito. E’ stato finalmente cancellato due mesi fa con l’ultimo Mille Proroghe. Un problema minore certo, ma un ulteriore ostacolo, oltretutto inspiegabile, sul percorso. E soprattutto un buon esempio della coda lunga che hanno le politiche pubbliche nella loro tradizionale e ostinata resistenza al cambiamento.
IL MANIFESTO DI “obiettivocomune”
Abbiamo un obiettivocomune: riprenderci la politica. Abbiamo un obiettivocomune: rimettere al centro dell’impegno politico le competenze, lo studio attento delle questioni, la valorizzazione del pensiero e delle esperienze. Abbiamo un obiettivocomune: restituire passione alla politica. Abbiamo l’obiettivo di ritrovare uno spazio comune. La città, che è il luogo di lavoro, produzione, consumo, ineguaglianze, disagio, inefficienze. La città, che può essere luogo di sviluppo, integrazione, aggregazione. Abbiamo l’obiettivo puntato sui Comuni, sulla vita delle istituzioni cittadine, sui centri di potere. Il monitoraggio attento delle decisioni pubbliche e delle pratiche di governo locale sarà il nostro strumento per immaginare e definire una nuova politica nazionale e generale.